“…it is a matter of awareness and cultural communication…” – parla l’architetto Mark Cannata coautore del libro ‘Le sofferenze urbane’.

(Intervista di Martina Tolaro) – Abusivismo edilizio, riqualificazioni mal riuscite, abbandono di edifici storici. Queste sono le “barriere di rincalzo” italiane, come le chiamava Calvino, che deturpano il nostro paesaggio rurale e urbano, nonché continuano a fare notizia, specialmente in Sicilia.

Ad ammansire la situazione è il fatto che oggi se ne parla sempre più spesso (coadiuvati dai social), e che gli urbanisti e gli architetti fanno sempre più fronte comune per agire.

Su questi temi, in un’ottica riflessiva per il nuovo anno, esce in libreria ‘Sofferenze urbane’ (Edizioni ETS).

Il libro – composto da un comitato scientifico di nomi illustri come Maurizio Carta – è scritto per mano di architetti, urbanisti e ricercatori di tutta Italia ed è a cura di Daniele Menichini, Benedetta Medas con postfazione di Alessandro Melis.

Tra i contributi scientifici spicca quello dell’architetto modicano Mark Cannata, con esperienza presso i più importanti centri di ricerca del mondo come Cambridge, Nottingham e Auckland in Nuova Zelanda.

Cannata racconta l’importanza della memoria e della coscienza collettiva che detengono molti edifici storici, i primi a rischio di demolizione se non protetti adeguatamente.

Tutto ciò è all’ordine del giorno a Modica: le distruzioni di Ville Liberty presso il quartiere della Sorda sono motivo di indignazione per Cannata e per i suoi colleghi.

Nel 2021 la città del ragusanano diviene persino caso studio per ‘Kassandra’, un progetto di rigenerazione urbana ideato insieme all’architetto Antonio Stornello ed esposto alla Biennale Architettura di Venezia. Oggi il contributo scientifico per il libro ‘Sofferenze urbane’ scuote nuovamente quesiti irrisolti. E forse lo capiremo meglio in questa intervista con Mark Cannata.

In che rapporti si trova Modica con la sua memoria storica?

«È un rapporto schizofrenico – racconta Cannata –, da un lato c’è la “presepizzazione” del centro storico, cioè l’idea di tornare in un passato idealizzato ma storicamente falso; da un altro lato c’è la mancanza di consapevolezza della stratificazione storica. Si parla di Modica come città barocca quando in realtà la parte barocca è solo una piccola parte di Modica. Esistono rilevanti testimonianze di stili architettonici di periodi successivi, dell’Ottocento, e soprattutto del Liberty e della prima metà del XX secolo. Questo si ricollega alle demolizioni delle villette alla Sorda».

Come si fa fronte alla perdita della memoria storica di una città?

«Secondo me è una questione prima di consapevolezza e poi di comunicazione culturale. Una delle cose che non succede abbastanza a Modica e che succede pochissimo e in maniera sbagliata in Sicilia, è l’interpretazione dei siti storici, cioè fare comprendere alle persone del luogo e ai visitatori la storia, il valore dell’ambiente urbano in cui si trovano».

Nel tuo contributo scientifico racconti come la natura sia il capo-progetto e il clima il suo strumento di progettazione. Che rapporto ha oggi Modica con la natura e con il clima?

«Modica è una città ad altissimo rischio dagli effetti del cambiamento climatico – in primis alluvioni e temperature estreme –, ma sembra si preferisca nascondere la testa sotto la sabbia. Per far fronte a questo pericolo serve urgentemente una visione strategica e olistica, che recuperi anche le lezioni del passato. Ad esempio, Modica era una città pedonale verde, piena di orti urbani e di spazi di relazione. Invece la Sorda è un groviglio di palazzi anonimi in cui mancano non solo gli spazi di relazione e le aree verdi, ma persino i marciapiedi. Questa distinzione mi ricorda molto la differenza tra luoghi e non luoghi dell’antropologo francese Marc Augé. La prima area è pregna di identità e storia cittadina, la seconda no. Bisognerebbe che la parte nuova imparasse da quella storica».

Martina Tolaro